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Marcello Sanguineti racconta il BMC International Winter Climbing Meet 2012, il meeting di arrampicata invernale che si è svolto dall’22 al 29 gennaio 2012 in Scozia e al quale hanno partecipato 39 ospiti da 26 paesi diversi.

BMC International Winter Climbing Meet (IWCM) 2012: What a week!
Marcello Sanguineti (CAAI – Gruppo Occidentale)

Gennaio 2012: navigando in rete capito sul sito del British Mountaineering Council (BMC) e leggo “the BMC International Meet is back for 2012 and returns to the Cairngorms!” Subito, gli occhi della mente si aprono sulle montagne scozzesi e i loro assurdi equilibri di ghiaccio e neve sparata dal vento contro le rocce, mentre a poche centinaia di metri in linea d’aria si vede l’oceano. In una manciata di secondi ripercorro le stupende giornate vissute negli anni scorsi sul misto scozzese. “Devo andarci!” – dico a me stesso. Non ho scelta: ormai sono nuovamente vittima dell’effetto-Scozia. Mi viene in mente, però, che l’IWCM è a numero chiuso: in ciascuna edizione (una ogni tre anni), il BMC invita uno/due alpinisti in rappresentanza di ciascuno dei principali Paesi le cui associazioni alpinistiche fanno parte dell’UIAA. Purtroppo l’invito agli italiani, inviato dal BMC nell’Ottobre scorso, è andato perso nei meandri della burocrazia e del server di posta elettronica del CAI e non è mai arrivato al CAAI, che avrebbe provveduto ad inviare uno dei suoi membri… Ma non mi rassegno: mi precipito all’email e scrivo a Becky, che cura l’organizzazione del meeting, per sapere se c’è ancora un posto disponibile. Lei si dà da fare e all’ultimo momento la sistemazione per me salta fuori. Dopo alcune notti in bianco per buttarmi avanti con il lavoro, il 21 gennaio faccio scalo a Londra e poi atterro a Inverness.

In tarda serata arrivo al Glenmore Lodge, l’attrezzatissima struttura che ospita i partecipanti (con tanto di sala conferenze, muro di arrampicata indoor, piscina, sauna, bar con ampia scelta di birre, mensa, ecc ecc) situata nei pressi di Aviemore, un paesino dell’Inverness-shire, nel cuore del Cairngorms National Park. Mi trovo immerso in un ambiente cosmopolita: una quarantina di alpinisti del Regno Unito e altrettanti guests stranieri, provenienti da Belgio, Canada, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Grecia, Francia, Germania, Galles, Inghilterra, Irlanda, Israele, Giappone, Lettonia, Lussemburgo, Olanda, Norvegia, Polonia, Romania, Scozia, Slovacchia, Slovenia, Sudafrica, Spagna, Serbia, Svezia e Stati Uniti.

L’organizzazione di Nick Colton (proprio lui, quello delle Droites e delle Grandes Jorasses: che piacere parlargli e farsi raccontare aneddoti e particolari su quelle mitiche salite!) e Becky Mc Govern è perfetta. Ogni due giorni, la sera si svolge l’assegnazione dei climbing partners: ciascun guest straniero viene “accoppiato” ad un arrampicatore host. Poi ci si sposta al bar, dove le nuove cordate familiarizzano davanti a varie pinte di birra, discutono il programma per il giorno successivo e scelgono le vie. Per le salite più brevi la colazione è alle 7:30, mentre chi punta a scalate di maggior sviluppo e con lunghi avvicinamenti è previsto un early breakfast a partire dalle 4:15. Inutile dire che la maggior parte delle mattine la mia sveglia suonerà alle 4…

La settimana di scalate con i local mi porterà su alcune delle pareti che offrono il meglio dell’arrampicata invernale scozzese. Dal Lochnagar, nei Cairngorms del sud, con suoi i pilastri separati dalla splendida Eagle Ridge e dal Black Spout Pinnacle, al Càrn an Etchachan – che racchiude le migliori fessure ghiacciate e i più interessanti camini gelati della zona – e alla Shelter Stone Crag sopra il Loch Avon, nei Cairngorms del nord, fino al Beinn Eighe, nel Torridion (Northern Highlands) famoso per i Triple Bettresses. Giorno dopo giorno scopro l’enorme quantità di winter climbs della Scozia, che avevo soltanto intuito durante le mie precedenti visite – dedicate ai classici Ben Nevis, Creag Meagaidh e Northern Corries. Per saperne di più sulle montagne scozzesi, un vero concentrato di avventura e problemi tecnici, vi consiglio di cliccare furiosamente su qui, dove si trova il blog creato da Simon Richardson “to celebrate the world of Scottish winter climbing”.

Ma torniamo al Glenmore Lodge. Ogni giorno, al rientro dalle scalate, la folla multietnica del meeting si dà il cambio nella drying room, dove si svolge il “rito di stesura” del materiale. Il tipico meteo invernale scozzese, infatti, prevede quasi quotidianamente neve o nevischio in alto e pioggia in basso (il tutto, come si sa, condito dai famigerati venti e dall’immancabile nebbia, che rende la bussola uno strumento indispensabile per il rientro). Appendere il materiale nella drying room è quindi indispensabile per avere qualche chance che l’indomani sia almeno parzialmente asciutto (leggi: non troppo bagnato). È la realtà della scalata invernale da queste parti, realtà che ha segnato tutte le mie permanenze in Scozia tranne una settimana nel febbraio 2010, incredibilmente caratterizzata da buona visibilità e venti modesti: a detta dei local, una situazione del tutto anomala. Prendere o lasciare: è ciò che rende la Scozia così affascinante per chi è disposto a “soffrire” un po’ e così inavvicinabile per i tanti ghiacciatori alpini che “fanno gli splendidi” sulle colate rese abbaglianti dal sole generoso delle nostre latitudini.

Al termine di ogni giornata, il programma del meeting prevede un evento serale nel Lecture Theatre annesso al Glemnore Lodge. Inizia Simon Richardson, con la presentazione panoramica “Scottish winter climbing”. Il giorno successivo è la volta di Simon Yearsley. Il suo slideshow, “New Scottish routes in out of the way places”, schiude le porte verso l’enorme potenziale di apertura di vie invernali che ancora esiste nelle Highlands. Poi è la volta del canadese Jen Olsen, con “Icefall Brook – A remote buffet of waterfall ice first ascents in the Canadian Rockies”. Nick Bullock offre la divertentissima ed estemporanea presentazione “Must get (stronger, fitter, better…)”, seguito venerdì 27 dal condensato di vie dure su misto scozzese presentate da Greg Boswell e Will Sim. Chiude lo svedese Magnus Kastengren, che ci porta a spasso in Tibet con immagini dal Nyenchen Tanglha.

Il meeting si chiude sabato 28; per il dopo-cena il programma recita: “final night party with live DJ, dancing, fun, and general merry making!!”. Mentre vengono proiettate le più belle foto di scalata scattate dai partecipanti, la musica fa da sfondo al rumore dei brindisi. L’indomani mattina non si partirà alla volta del misto, ma le numerose pinte di birra consumate renderanno la sveglia ancor più dura di quella degli early breakfast…

Insomma, un evento riuscitissimo: misto stupendo, vento e nebbia da “true conditions” scozzesi (per dirla alla Don Whillans), atmosfera amichevole, perfetta organizzazione e – non da ultimo- lager e guinness di ottima qualità e whisky dall’indimenticabile sentore torbato.

Visto che si parla di meeting di arrampicata, concludo segnalandovi la seconda edizione dell’International Trad Climbing Meet che si svolgerà in Valle dell’Orco dal 16 al 22 settembre 2012, organizzato dal Club Alpino Accademico Italiano (CAAI) e già annunciato anche sul sito del BMC. La speranza è quella di “bissare” il successo dell’edizione 2010, della quale vari partecipanti all’IWCM Meet scozzese, presenti anche al nostro meeting del 2010, mi hanno parlato con entusiasmo (qui potete leggere il report di Tom Randall). Presto troverete aggiornamenti all’indirizzo www.tradclimbing.it, la pagina web dell’International Trad Climbing Meet 2012 in Valle dell’Orco.

Grazie a CAAI, BMC, Trango World e Grivel

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Via Casarotto a Cima Civetta in solitaria

August 24, 2019 | News | No Comments

Martedi 30 agosto 2011 Fabrizio della Rossa ha realizzato la probabile prima solitaria e una delle pochissime ripetizioni della via Casarotto a Cima Civetta 3.220m (Dolomiti).

La grande parete nord-ovest della Civetta continua ad affascinare. Questa volta a farsi prendere dalle fantastiche pieghe dell’immensa parete è stato Fabrizio della Rossa. Uno che se per descriversi va molto per le spicce (“scalo da circa 10 anni, ho 26 anni, ho vissuto a Udine e poi a Trieste, poi a Barcellona dove faccio base tutt’ora, in attesa di andare a fare la stagione invernale in Alto Adige”) di certo non lo è quando parla della sua passione per l’arrampicata e l’alpinismo. Per esempio, se gli chiedi di parlarti delle vie che ha fatto premette subito che “in generale non ho mai scalato niente di così importante che possa interessare a qualcuno, è che per me l’importanza delle vie che ho fatto è legata alle sensazioni che ho provato, alle amicizie alle quali mi sono legato, alle cose che ho imparato lassù…” Per poi dirti delle ultime che ha salito e, appunto, dei motivi per cui gli sono rimaste impresse. Tipo, tra le tante di livello dalle Dolomiti alla Turchia, quelle di Massimo “Mox” Da Pozzo: “Sognando l’aurora, Da Pozzo vecchio pazzo, Good bye 1999, Excuse moi… La va de qua, Compagni di merenda ecc… tutte vie che mi hanno lasciato sempre di incanto per la bellezza della scalata e anche perché le ho sempre azzeccate a vista! – tranne Da Pozzo Vecchio Pazzo rotpunkt…”.

Questa lunga premessa per dirvi che forse la sua solitaria della via aperta da Renato Casarotto e da Giacomo Albiero dal 15 al 16 settembre 1979, è di quelle che, oltre all’indubbio valore tecnico, mettono in campo anche il cuore dell’alpinista. Un po’ perché questa via- che parte dal “cristallo”, il nevaio perenne posto al centro della nord ovest, e che si raggiunge dopo aver percorso la prima parte della via Solleder – conta davvero pochissime ripetizioni. Un po’ perché la “solitaria” è venuta fuori quasi per caso. Ma anche, e non per ultimo, perché ci ricorda un grande dell’alpinismo come Renato Casarotto. Dunque, a noi sembra ancora una volta il caso di rimarcare che le grandi pareti riservano sempre delle (belle) sorprese e delle “novità” per chi le sa cercare. Come questa via “Casarotto” alla Cima Civetta: un bel fiore da cogliere o, per dirla con le parole di Fabrizio Della Rossa, una via “incredibilmente ispirata… e chi se la saprà meritare, tornerà a casa con un viaggio segreto tra le pieghe della parete.”

PRESUNTA PRIMA SOLITARIA VIA CASAROTTO A CIMA CIVETTA
di Fabrizio della Rossa

Note tecniche poco serie…
Che si può dire al riguardo di una via che nessuno si fila (provate a digitarla in google), che conta sì e no una manciata di ripetizioni, che pure la guida liquida in uno schizzo approssimativo e in meno di 2 righe di descrizione? Che si può dire al riguardo se pure io che volevo fare la Solleder, l’ho ripetuta per errore? Chiarito questo importante punto di mio demerito, penso che la Casarotto sia una via incredibilmente ispirata, e chi se la saprà meritare, tornerà a casa con un viaggio segreto tra le pieghe della parete. Il tracciato segue la Solleder fino al nevaio pensile, da cui si stacca per seguire una linea di diedri e fessure che la foto sulla guida appunto approssima a quella di una grande fessura colatoio visibile a occhio nudo dal rifugio Tissi.

Ora quello che mi piacerebbe fare qui è dare qualche info in più, che invoglino chi legge ad abbracciare la parete nord-ovest lungo questa linea. La descrizione che posso fornire è però tanto approssimativa quanto quella di un folletto a cui si chiede di parlare del suo bosco, lui risponderà con uno sguardo stupito attonito, e in men che non si dica lo si vedrà scomparire arrampicandosi sicuro lungo le fronde dei suoi alberi; e così feci io quel giorno, muovendomi d’istinto tra i meandri di una parete mai stata così famigliare, assorbendo sensazioni indelebili piuttosto che ricordi ineccepibili.

In ogni caso per imboccare la via è necessario, percorrendo i secondi gradi che caratterizzano la parte del nevaio, spingersi decisamente a destra, poi arrivati col naso attaccato alla parete, se ne percorre la cengia fino a che si può farlo camminando. Da lì si imbocca un diedro leggermente inclinato a sinistra, non molto ben definito. Qui non ci sono chiodi di passaggio, però se il diedro è quello giusto voi salite che qualche tiro più in su qualcosa si trova. Un buon punto di riferimento è il tetto giallo anch esso visibile dal Tissi, a sinistra del colatoio. Le lunghezze alla sua altezza sono quelle più impegnative, io sono passato a circa una ventina di metri alla sua destra incontrando sotto di lui un passo duro senza chiodi (strapiombino in traverso a sinistra) e poi un altro con un buon chiodo (strapiombo nero con roccia buona, evitare di prendere la roccia più marcia a destra). Si continua a salire fino a ritrovarsi nel grande colatoio una trentina di metri sotto dove questo si stringe diventando strapiombante marcio e bagnato… Lo si attraversa (sotto la doccia) e si prosegue in un traverso a destra verso l’ignoto (no chiodi, senzazione di: dove vado a finire?). Girato l’angolo si scopre una nuova fessura camino, che vi condurrà all’ultimo passo duro della via (buon chiodo), da lì è tutto un fischiettare verso la cima!!

Un ringraziamento di cuore va ai miei sponsor: Venturino del Torrani e le sue grappe ristoratrici, Walter del Tissi, tutto il Coldai, e specialmente Enza: che ancora ho il sapore della sua torta sotto la lingua!

Note ancora meno serie sulle solitarie…
Quando vivi in una grande città sei circondato in ogni istante della tua giornata da centinaia di persone, ti muovi come una trottola su e giù lungo orizzonti di palazzi e strade, cemento e luci; fino a che non ti ritrovi disorientato: cerchi un margine di umanità in mezzo a tutta questa moltitudine, ma presto ti ritrovi sul marciapiede a spintonare la gente per passare e da loro a essere spintonato, e ti chiedi “ma dove cazzo va tutta sta gente?”, e così finisci col odiare e perdere quell’umanità che stavi cercando.

Se dicessi che sei solo, nessuno ti crederebbe: hai la gola secca a forza di chiacchierare e già le tue mani iniziano a toccare i fianchi di lei, allora ti dimentichi di tutto e pare pure a te stesso che siano solo stronzate. Il giorno dopo però entri nella metro. Nel breve tragitto tra una stazione e l’altra il tempo si ferma, è il posto dove dai corpi accatastati seduti e in piedi la solitudine cola corale come un grido sommesso; e tu guardi la tua disperazione riflessa nelle facce degli altri, che sono specchi della tua. Allora esci e scappi, non sai come ti ritrovi lucido e sereno sotto la parete. Fischietti e inizi a scalare, ti senti libero perchè la solitudine che ti opprimeva fino al giorno prima ora sostiene il tuo peso come una corrente ascensionale spinge il vapore delle nuvole.

Insomma ti senti finalmente a tuo agio, danzi come in un valzer. Sei solo, e li intorno non ce nessuno a ricordartelo. Pensi che ora che sai dove sei, puoi anche smettere di correre e prenderti il tuo tempo, e in questo tempo tentare di afferrare la tua anima, che tanto li non può scappare da nessuna parte. Magari non ce la farai, però quando sei in cima e ti fumi la cicca, ti senti felice come una pasquetta. Tanto che, nel metro poi, già stai pensando alla prossima.

Fabrizio Della Rossa

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Marco Anghileri racconta la sua salita solitaria della Via dei Bellunesi (1350m, VI e A2) sul Pilastro sud-ovest dello Spiz di Lagunàz (Pale di San Lucano, Dolomiti). Un grande viaggio per un’esperienza che va oltre l’alpinismo.

Ci sono posti tanto nascosti, quanto sconosciuti ai più, da diventare quasi mitici. Come lo Spiz di Lagunaz. E ci sono occhi così sinceri che sanno arrivare al cuore. Come quelli di Marco Anghileri. Non vorremmo aggiungere altro al racconto dell’avventura di Marco sulla Via dei Bellunesi al Pilastro sud-ovest dello Spiz di Lagunàz. Anche se, sul valore di quei 4 giorni (1 per lo zoccolo, 2 per la salita e 1 per la discesa) tutti trascorsi in piena solitudine nel silenzio delle Pale di San Lucano – magnifico distretto delle Dolomiti – ci sarebbe molto da aggiungere e da ricordare. Intanto che quella Via dei bellunesi, aperta nel luglio del ’79 da Franco Miotto, Riccardo Bee e Stefano Gava, è davvero un gioiello. Tanto prezioso che ci sono voluti 25 anni perché qualcuno (alias Ivo Ferrari e Silvestro Stucchi) riuscisse a ripeterla. Poi, di questo suo gran viaggio lungo 1350m e di quell’impegno “mentale” che richiede, occorrerebbe dire che si tratta della prima solitaria, prima invernale nonché seconda ripetizione. Insomma, che si tratta di qualcosa da segnare sui libri di alpinismo. Anche se di tutto questo Marco Anghileri non ama parlare, come non si sofferma sui gradi o su quella famosa traversata che segna la via… Parla apparentemente d’altro Marco. Anzi parla al cuore e di quel “richiamo della foresta” a cui nessun alpinista riesce a resistere. Da leggere!

QUEL QUADRO IN BIANCO E NERO di Marco Anghileri

Ripensandoci bene, erano anni che quando avevo la fortuna di andare nella magica Valle di San Lucano e raggiunta la ormai familiare locanda Col di Prà, entrando nel locale lo sguardo veniva sempre catturato da un bellissimo “quadro in bianco e nero” posto sulla parete d’ingresso.
Un quadro ormai datato e d’importante rilevanza storica, con inserite le foto dello Spiz di Lagunaz indicante il tracciato della Via dei Bellunesi e quella dei fortissimi apritori in glorioso abbraccio – Franco Miotto, Riccardo Bee, Stefano Gava – che nei giorni 11-12-13 luglio del 1979, dopo precedenti tentativi, avevano terminato una via destinata a diventare un deciso punto di riferimento anche oltre i confini della selvaggia valle!
Quante volte in quei colpi d’occhio al quadro, a volte rapidi, altre più lenti e di studio, i pensieri mi avevano fugacemente portato lassù, appeso a quella magnifica prua verticale oltre il diedro, avvertendo quasi d’inconscio un brivido alle mani che immediatamente, con riflesso incondizionato, si portava alla schiena! Brividi di passione, di interesse, di mistero, di curiosità, e allo stesso tempo brividi di timori reverenziali, di dubbi, di incertezze…!
Perplessità aumentate dalle timide notizie e dalle rare battute che sentivo nei discorsi dei pochi informati. A volte, quando mi soffermavo un po’ di più ad osservare quel “quadro in bianco e nero” ed accanto a me vi era qualche local magari non ancora incontrato, dalle sue labbra poteva uscire qualcosa di nuovo o di diverso rispetto a ciò che sapevo, e soprattutto, sentivo nuovi nomi di alpinisti più o meno conosciuti che avevano provato a ripetere la Bellunesi ma con scarso esito!

Quasi sempre, quegli sguardi al quadro ed i brividi da esso generati, dentro me erano accompagnati da pensieri colmi di vizi e presunzioni giovanili, sicuramente conseguenti a come vivevo un po’ l’andare in montagna da giovane; ricordo che con gli occhi fissi al quadro pensavo “eh, bella linea è vero, ma il pensiero di star su delle ore a far dell’artificiale, magari anche sul marcio!, per superare poche decine di metri di parete mi fa scappar la voglia di andarci pensando a tutte le meravigliose vie in libera e con roccia super che ci sono in questa valle dove poter sentirsi liberi di muoversi ed arrampicare! Comunque, massì dai! magari un giorno ci andrò… e se son passati i primi salitori, sono certo, passerò anche io! Qual è il problema?!” consapevole che quel giorno sarebbe stato sempre e comunque un altro giorno ed anche lontano, perché appena fuori dalla locanda, con tutto il ben di Dio delle Pale, gli interessi erano tutt’altri!

Col passare degli anni e l’arrivo di altri impegni, ovviamente le mie visite in San Lucano si sono drasticamente ridotte e modificate, come del resto un po’ il mio andare in montagna. Proprio nell’ultima visita nell’ottobre 2011, in cui feci la ripetizione in solitaria della splendida e praticamente sconosciuta “Via Per l’ultimo Zar” al Pilastro Titan sulla Prima Pala, ricordo che, soffermandomi per l’ennesima volta ad osservare quel “quadro in bianco e nero” ed il tracciato della Bellunesi, il caro amico e gestore della locanda Mauro Chenet mi aveva sentito accennare per la prima volta e ad alta voce, “anche questa via meriterebbe d’esser scoperta, quasi quasi alla prossima occasione ci metto il naso!” e dentro di me sentivo che mi ero appena fatto una stimolante promessa!

Dopo circa quattro mesi da quell’ultimo sguardo al quadro, il mattino del 24 febbraio 2012 mi aveva visto far ritorno nella bellissima valle di San Lucano!
Un bel periodo di alta pressione stava volgendo al termine, ma il giorno precedente era il 5° compleanno del mio secondo figlio Carlo e giustamente non volevo mancare a quell’appuntamento così la partenza era avvenuta la mattina presto dopo i festeggiamenti!
Durante il lungo viaggio avevo cercato di capire il perché della mia fuga in San Lucano in quei giorni, che per calendario cadevano ancora nella stagione fredda anche se era chiarissima in me la consapevolezza di non aver nessun interesse d’apostrofare l’avventura con “salita invernale”. No, quello rappresentava proprio l’ultimo dei miei pensieri ed era solo una banale coincidenza che le mie voglie di solitario in San Lucano combaciassero con l’inverno!
Un inverno che poi tanto freddo e nevoso non è stato viste le condizioni delle pareti e l’incredibile sudata fatta nella salita del ripido zoccolo della 3^ Pala!

Però, nonostante il grande slancio interiore che mi aveva spinto a soddisfare quei brividi percepiti in anni di sguardi al “quadro in bianco e nero”, quella volta la fuga solitaria si concluse come descritto da me stesso in un blog di montagna pochi giorni dopo: “dopo un primo giorno passato bene, già al secondo ho capito che la testa era altrove, che pensavo tanto ai figli e soprattutto al più grande che, appena saputo della mia fuga, mi aveva lasciato impietrito con uno sguardo troppo intenso e di non comprensione accennandomi le poche parole della canzone di Dolcenera che aveva appena ascoltato alla radio “…qualunque cosa accada, noi ci vediamo a casa! lalala…” stavo intuendo che non stavo proprio vivendo l’esperienza divertendomi come cerco e voglio trovare in montagna… Fino a quando, al risveglio del terzo giorno, dopo un po’ di minuti di autoanalisi, ho capito che veramente non era come doveva essere, che non ero in sintonia, che non trovavo piacere a star lì, che anche se a vedere non mancava molto per uscire dal duro (che poi tanto duro non mi sembrava ma non si può mai dire) e anche se la discesa poteva essere lunga e complicata, la cosa non andava come doveva andare e che il Marco che sta bene in montagna, che prova piacere in montagna, che si sente libero in montagna… non era quel Marco che era lì…
e allora, decisione istintiva e liberatoria presa in un attimo…
“ok, ora scendo… non è il momento giusto”
lungo e faticoso lo zoccolo in discesa…
pensieroso il viaggio di rientro…
ma molto gratificante l’abbraccio dei miei Giulio e Carlo!

I giorni successivi a quel tentativo erano trascorsi con stati d’animo decisamente contrastanti, mi sembrava d’avere dentro dei temporali d’emozioni che passavano dalle forti tempestate con grandine alla quiete più totale… un continuo alternarsi di pensieri opposti: “bravo Marco, hai fatto bene a scendere, comunque sia, anche se fossi andato avanti e quasi certamente saresti arrivato in cima, non sarebbe stato giusto, non te la saresti goduta come vuoi, non ti saresti divertito come vai cercando… insomma, te la saresti sciupata questa bella cosa e magari saresti ancora qui più tumultuoso! Ormai ti conosci bene, lo sai che sei fatto così….! Massì dai! Ascoltati, aspetta..! 1 giorno, 10 giorni… 1 mese, 6 mesi… aspetta il momento giusto, se dev’essere anche questa arriverà!”
…oppure, “Cazzo!!! C’eran condizioni atomiche, alta pressione fantastica, ora ha nevicato sopra i 1500 mt, quando mi ricapita un’occasione così? Mi ero già sparato tutto il viaggio e l’enorme fatica nel portar su l’enorme sacco ed i suoi 28 kg, ormai ero lì a 30 mt dal termine delle difficoltà… e son rientrato! Stavi bene, ti sentivi in forma, non ti sembrava duro…e per un qualcosa di intangibile, per delle emozioni, niente di più, hai mollato il colpo?! Ma come si fa ad esser così pirla?!….” e ancora, “…però continui a pensare a quel traverso, alla prua verticale successiva! Hai voglia di conoscerli, di vedere, di toccare con mano, senti i soliti brividi di curiosità ed incertezze!…ahhh! BASTA! SMETTILA! NON PENSARCI PIU’! STACCA IL CERVELLO!!

Martedì 13 marzo; ho appena terminato un appuntamento di lavoro in zona Trento, l’auto è carica del mio saccone per la Bellunesi più altre borse piene di oggetti che potrebbero servire, ma ho rimandato la decisione se portarli o no solo in ultimo, ascoltando le sensazioni del momento!
La strada più logica per la San Lucano sarebbe prendere la Valsugana e poi Feltre ecc, ma è davvero una bella giornata di sole, praticamente primavera e voglio respirare begli ambienti, spaziare con lo vista verso cime e valli, entrare in sintonia, liberare la mente, sentirmi libero!
E allora via in autostrada fino all’uscita Egna-Ora e su per quella bellissima strada che sa di ricordi di belle vacanze in famiglia fra sciate e scampagnate.
Quanti amici da queste parti, già che son qui meriterebbe la cortesia di un saluto a qualcuno…ma poi con che scusa dico che sto passando? Sicuramente mi scapperebbe qualche parola, come è già accaduto nell’appuntamento di prima anche se con un amico di quelli giusti, e sento che romperei l’intimità del sogno, di quel sogno che oggi, che adesso, in questo momento di ricercata libertà, sto sentendo sempre più vicino, sempre più mio! Vai senza fermarti, godi anche di questi momenti!

A Moena svolta a destra in direzione passo San Lucano – Pellegrino, poi l’acquisto di qualche panino a Falcade e finalmente Taibon Agordino e la magica valle di San Lucano!
Alla locanda, un veloce e ormai istintivo sguardo a quel “quadro in bianco e nero”.
Incredibile!!! Niente brividi alle mani, niente riflessi alla schiena… nessun mistero, nessun interrogativo, nessun timore! Lo sguardo non focalizza nulla in particolare ma è solo una veduta d’insieme e per un attimo avverto complicità, rispetto, coinvolgimento reciproco, quasi il sentirsi un tutt’uno con lui!
Mangio qualcosa di veloce mentre preparo gli ultimi dettagli e penso il da farsi.
L’altra volta avevo fatto una tirata: il viaggio da Lecco, salito lo zoccolo, fatto i primi 5 tiri e bivaccato all’inizio del profondo diedro.
Oggi è tutto diverso, ho pensato molto a quale impostazione adottare ed alla fine, come faccio spesso, ho lasciato la decisione all’ultimo momento, ascoltando le sensazioni dell’attimo.
Far di corsa e bivaccare ancora ad inizio diedro almeno sarei già alto e psicologicamente più a posto per il giorno successivo ed i tiri chiave, oppure, con più calma, salire solo lo zoccolo e se avanza tempo mettere un po’ di corda sui primi pezzi? Boh!
La Valle oggi sa di primavera!… ho voglia di respirare la primavera!… alla locanda si sta da Dio! Mi sdraio sulla panchina al sole e con i freschi profumi della valle… prendo sonno! Quindi opzione due!

Un sonno rigenerante, un sonno illuminante, un sonno che mi porta al risveglio con le idee chiare, limpide e certe di cosa sto andando a fare e di come lo voglio fare! Senza fuggire o scappare da qualcosa o da qualcuno, senza inseguire, rincorrere, o cercare di avvicinare forsennatamente un simbolo, un’idea, una pseudo-promessa, ma semplicemente, ascoltandomi, ascoltando le mie sensazioni, le mie voglie, la mia sete di montagna, che in questo caso si disseterà sulla via tracciata quasi con precisione maniacale sulla foto nel quadro, in quel “quadro in bianco e nero”!
Nel pomeriggio, dopo aver lasciato per ultimo in base alle sensazioni (dev’essere una mia caratteristica in certe cose) la “difficile” decisione di quali calzature indossare da cui avrebbe dipeso anche la discesa, son partito per il lungo zoccolo con il saccone di 21 kg, carico di ben 7 lt di beveraggi vari, ma comunque leggero, perché gran parte del materiale l’avevo lasciato alla grotta di bivacco la volta precedente. Ci arrivo in meno di due ore, sorpreso di come abbia piacevolmente goduto della salita nonostante il peso del sacco; il bivacco con la luce ed il caldo pomeridiano è un paradiso.
Poco dopo, in pieno stato di ebbrezza, mi ritrovo a salire in assoluta libertà, ed ancora in scarpe da ginnastica, ma con: imbrago, moschettone, reverso, 60 mt di corda del 9,4 ed altrettanti di cordino del 6, i primi 100 mt della via godendo come un matto! Fatto ciò, in breve le due doppie su capo singolo (da non emulare quella su cordino del 6!) mi depositano alla base e trascorro la prima delle tre notti in un posto da bivacco fantastico!

Il giorno seguente è un concentrato di emozioni. Ripercorrere i tratti fino a metà diedro già percorsi la volta precedente avvertendo meno scioltezza, grinta e trovando il tutto un po’ più complicato quindi facendomi pervenire qualche dubbio sulla mia condizione, non tanto fisica (quella in 20 giorni mica si trasforma!) quanto più mentale! Aspetti mentali decisamente ribaltati e ritrovati a pieno regime nel momento esatto in cui son finalmente partito dalla sosta del famoso e temuto traverso, punto raggiunto la volta precedente!
Un traverso tutto da capire, un traverso eccitante, un traverso emozionante…. o forse è solo l’emozione d’esser finalmente lì! Un traverso che, grazie ai pochi ma comunque presenti chiodi messi dagli apritori e dagli unici ripetitori della via (Ivo Ferrari e Silvestro Strucchi il 17 e 18 luglio 2004), ho potuto godere ed apprezzare come speravo, come volevo, abbinandolo in unica lunghezza alla tanto immaginata e desiderata splendida prua verticale successiva!

Due tiri saliti e vissuti credo nel miglior modo che potessi desiderare, e sarà forse per questo che li ricordo veramente belli e di gran soddisfazione. Due tiri nei quali ho trovato quella fantastica dimensione e condizione che mi piace trovare e vado a ricercare quando son in giro da solo a scalare. Dove il tempo che trascorre non ha più “il suo tempo”, dove lo spazio intorno a me non è più “uno spazio”, dove quando salgo non sto “semplicemente salendo”, dove quello che sto facendo non è “solo un fare” ma, per me, è il giusto fare, è esattamente ciò che ritengo assolutamente ed unicamente “giusto”… dove tutto ha una sua logica cristallina, dove ogni singolo movimento è il movimento più idoneo per la mia persona in quella situazione… e dove tutto ciò mi fa sentire ogni qual volta fiducioso di me stesso e forse anche un po’ al di sopra delle difficoltà che sto incontrando! Probabilmente sarà anche per questo motivo che catalogare, dare una valutazione numerica delle difficoltà mi risulta spesso estremamente difficile se non impossibile farlo.

Salgo, centimetro dopo centimetro, metro dopo metro, immerso in una “bolla di dialogo con me stesso” che non mi da razionale chiarezza di ciò che sta intorno a me ma, allo stesso istante, mi è semplicemente quantificabile in “qui lo vedo facile, lì meno, etc”!

Giungo al termine della prua verticale e rimonto sul bellissimo ballatoio. Sono immerso nella meravigliosa luce di un tardo pomeriggio invernale ma che sa più di bella primavera! Immediatamente avverto dentro di me lo scioglimento e l’allontanamento delle celate tensioni e timori che inconsciamente mi portavo appresso nei periodi e nei momenti precedenti a questi tiri…trascorro brevi attimi ad ascoltare ancora quei brividi alle mani che si dipanavano alla schiena conosciuti in anni di sguardi indirizzati a quel “quadro in bianco e nero”.

Vivo momenti su di un ballatoio in mezzo al niente o in mezzo al tutto (dipende dalle passioni) che san di piacere, star bene e libertà che son in fondo le cose che più ricerco tra le montagne. Attimi che sanno di vita e che dureranno sicuramente in eterno dentro il mio cuore. Lo stesso cuore di quel giovane ragazzo, ormai giunto alla soglia dei 40 anni che, con vizi e presunzioni giovanili, anni fa pensava ed in fondo ben sapeva che: “Massì dai! Magari un giorno ci andrò… e se son passati i primi salitori, son certo, passerò anche io! Qual è il problema!!

Il giorno seguente, dopo una splendida notte trascorsa accarezzando il piacere d’aver finalmente soddisfatto le curiosità di anni, è stato un susseguirsi un po’ complicato e dispendioso, causa il saccone, di andare e venire in traversi orizzontali, alcuni addirittura in discesa, per poi percorrere i bellissimi tiri nella fessura verticale, che meritano solo quelli una visita, ed infine bivaccare ancora poco sotto la cima stando al riparo dall’aria!
Un’ultima notte trascorsa su di un comodo e provvidenziale ballatoio di sassi trovato per fortuna al di là della cresta, ma che volevo terminasse al più presto perché contraddistinta dagli intensi e duraturi dolori al maledetto braccio destro operato anni fa che, nonostante le bustine di antinfiammatori bevute, non mi ha dato pace né fatto chiudere occhio… (unica nota negativa di tutta la splendida avventura).

Al mattino, sulla bellissima cima dello Spiz di Lagunaz e nei primi tratti della lunga discesa in doppia effettuata dal diedro Casarotto, le emozioni hanno toccato l’apice! Dapprima osservando in lontananza la parete Nord-ovest della Busazza sulla quale lo stesso giorno di 20 anni prima, e cioè nel lontano 16 marzo 1992 (incredibile coincidenza!) insieme al caro e compianto amico Lorenzo Mazzoleni (scomparso nel ’96 al K2) giungemmo in cima alla via Maffei-Leoni-Frizzera dopo 4 giorni di intensa arrampicata che sancirono quasi l’inizio del mio alpinismo, di cui, da quell’inconsueto posto potevo osservare e ricordare molti capitoli vissuti fra Marmolada, Civetta ed Agner! Per poi cominciare le corde doppie esattamente da quel mugo e su quell’errato versante in cui nel dicembre del 1989 mio fratello Giorgio (purtroppo scomparso), insieme ai due cari amici Riccardo Milani ed Emanuele Panzeri, cominciarono la loro lunga discesa dopo 4 fredde giornate invernali trascorse sull’allora ancora poco frequentato (la loro fu la 4a ripetizione) e molto sconosciuto diedro Casarotto-Radin allo Spiz di Lagunaz. Che grande emozione ritrovare i chiodi e le fettucce fucsia che usava Giorgio nelle altre due doppie prima di arrivare sulla grande banca all’uscita dal diedro!

Nel pomeriggio mi ritrovo finalmente alla grotta da bivacco sopra lo zoccolo potendo stemperare un po’ la tensione accumulata nella lunga discesa in corda doppia tutta da attrezzare, ma consapevole di non poter ancora rilassarmi in quanto il ripido e lungo zoccolo della terza pala in discesa e con pesante saccone non sarà certo una passeggiata! Qualche ora dopo, ancora nel bosco e praticamente al buio con la frontale quasi scarica, arrivo a poche decine di metri dalla strada ad abbracciare il gentilissimo Maurino venutomi incontro. Di lì a breve son di ritorno alla Locanda Col di Prà dove cari amici mi aspettano per sincere strette di mano e festeggiamenti!

All’ingresso, in un misto fra istinto, riflesso incondizionato e volontà volgo lo sguardo verso quel “quadro in bianco e nero”!
Brivido! Sento ancora un grosso brivido… ma questa volta dalla schiena lo sento scorrere velocemente lungo il viso e scendere sul collo fino ad arrivare – dritto al cuore! Con un accenno di sorriso e strizzata d’occhio dalle mie labbra sento sussurrare… “Grazie caro e vecchio “quadro in bianco e nero…!

Marco Anghileri
Lecco – 21 marzo 2012

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A febbraio Peter Moser, Thomas Ballarin, Fabrizio Dellai e Fabrizio Rattin hanno aperto una serie di cascate nuove in Val Porsiglia e Val Longa.

“Mi sono chiesto se era possibile passare ancora giornate intere ad aprire nuove cascate, proprio come si fa in terre lontane. La risposta alla mia domanda me la sono data adesso, arrampicando per due settimane consecutivamente su cascate vergini mai salite da nessuno, aprendo tutti i giorni almeno un itinerario nuovo. Alla fine del mio giro sono nate più di venti linee, oltre a rappresentare per il momento uno dei maggiori siti di ghiaccio in Valsugana. Gran parte degli itinerari sono molto impegnativi e sicuramente stupendi…” Ecco come la guida alpina Peter Moser ha descritto in breve il suo tour de force dello scorso febbraio. Riportiamo ovviamente le schede di queste singole cascate e, come di consueto, anche il resoconto di Moser.

FEBBRAIO 2012 IN VAL PORSIGLIA E VAL LONGA
di Peter Moser

E’ difficile spiegare a chi non l’ha mai provato cosa si provi a scoprire una cascata nuova… è un po’ come vedere una bellissima ragazza e innamorarsi perdutamente di essa. Per giorni, a volte per anni, si pensa solo a quel flusso perfetto visto in quel attimo, si aspetta il momento buono per salirlo, che a volte non arriverà mai… E’ questo il fascino del ghiaccio e delle cascate dove la salita rappresenta solo l’ultimo atto. Alcune linee aspettano l’apritore giusto, ne sono sempre più convinto, e mi affascina l’idea che una cascata sia rimasta li per millenni ad aspettarti come una dama legata al tuo destino. Quest’anno il mio destino era legato a parecchie dame si vede…

A febbraio finalmente arriva il freddo e tutte le strutture prendono vita, salgo lungo i boschi di faggio della Val Porsiglia e scopro formata una delle più belle cascate della valle, mi ricordo di lei tre anni fa quando l’avevo vista per la prima volta, peccato, era stesa a blocchi per terra e di essa ne rimaneva qualche misera frangia appesa all’enorme anfiteatro. Quest’anno mi ritrovo a seguire la traccia di un camoscio che mi rivela il passaggio meno ostico per entrare nella valle e d’un tratto mi appare stupenda davanti ai miei occhi lei… è bellissima, mi lascia senza fiato, questa volta è in piedi per tutti i suoi 110m verticali. Difficile spiegare cosa si prova….quello che aspettavi è li davanti a te e basta solo salirlo!

L’indomani sono alla base con il mio amico Thomas Ballarin e ci divertiamo su questa fantastica cascata che chiameremo Baci al veleno. Mi ritrovo fuori dall’ultimo tiro di sesto in cima a questa bellissima creatura ma non mi sento appagato come solitamente in questi casi…Mi chiedo se è possibile passare giornate e giornate ad aprire cascate nuove qui in Trentino senza spostarsi in terre lontane. Insomma ho in mente solo una cosa: aprire tutto e per il più tempo possibile! Non è un pensiero egoistico o smania di collezionare nuove salite, è solo che voglio vivere quella sensazione di avventura per il più lungo tempo possibile.

Il risultato è che passerò due settimane indimenticabili ad aprire tutti i giorni linee nuove, tutte bellissime e in gran parte sostenute. In compagnia dei miei amici Thomas Ballarin e Fabrizio Dellai passiamo intere giornate ad aprire itinerari qui in Val Porsiglia che vanno dal grado 5 al 6, caratterizzati per la maggior parte da formazioni a frange pensili o colonne.

Ormai le nostre giornate hanno una monotonia fantastica… butto tutto sulla mia jeep, corro al ritrovo al bar del paese poi un po’ di fuoristrada aggressivo tra i boschi della valle per portar su il materiale e finalmente mi ritrovo con le picche in mano.

Passano i giorni e le temperature si alzano ma c’è un’altra Dama che ci aspetta, questa volta nella vallata del Vanoi. Nevica e con il mio amico Fabrizio Rattin saliamo questa bellissima cascatona azzurra immersa tra i boschi della Val Longa. Nemmeno il tempo di bere una birra e asciugare i vestiti che il mio pensiero è di nuovo tra le valli laterali della Valsugana.

Al mattino siamo in tre sotto a quella che diventerà una dei gioielli della vallata: io Fabrizio Dellai e Fabrizio Rattin. La salita è fantastica ed adrenalinica, il primo tratto frange e colonne stupende, poi il tiro del boccale dove devi mettere su “off” il cervello e farti leggero e delicato, dimenticarti di respirare fin che non sei fuori da quella colonna senza protezioni, davvero fine e precaria. Saranno 300m di di cascata veramente emozionanti che chiameremo “E mi e ti e el Peter”.

Ormai si sta sciogliendo tutto ma da buon testone voglio la ciliegina sulla torta e così con i compagni del giorno precedente ci alziamo presto e saliamo l’ultima cascata della valle. Pianto l’ultima picozzata per uscire e mi accorgo che è fatta! Ho salito tutto e dopo quasi 2 settimane di aperture consecutive mi sento pienamente soddisfatto. Ancora una volta siamo riusciti a vivere la nostra passione tra queste montagne di casa. Il disgelo si porta via tutte le nostre Dame ma non abbiamo nessun rimpianto e le aspetteremo tornare il prossimo anno… forse.

Cascata

Grado

Lunghezza

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Bellezza

Baci al Veleno

6

110m

Fantastica ma impegnativa cascata aperta da Peter Moser e Thomas Ballarin nel febbraio 2012.

Cascata degli Schützen

5+

60m

Bella cascata a sinistra di Baci al Veleno.

Crioscopica

4+

100m

Una delle poche cascate facili del settore in Val Porsiglia.

E mi e ti e el Peter…

6

310m

Fantastica e difficile cascata, molto impegnativa, assolutamente da non sottovalutare. Una dei gioielli della vallata.

Mai tesi

4+

90m

Cascata di facile formazione. Rappresenta comunque una salita molto interessante per la rapidità d accesso dalla valle.

Local dispettoso

5+

50m

Local dispettoso è una cascata corta ma stupenda. Per il ramo sinistro si parte attaccando la frangia pensile per i primi 10m e poi si collegano tutte le varie candele soprastanti. Il ramo destro offre una salita comunque carina di facile formazione.

Muro dei selvaggi

6

130m

Questa bella parete in Val Porsiglia ospita tredici vie fino a 130m in altezza con difficoltà fino a 6.

Doccia gelata

5

140m

Bellissima cascatona azzurra immersa tra i boschi della Val Longa


Grazie a:
Grivel, Kong, Montura, Scarpa

Il 5-6-7 ottobre 2012 l’Associazione Chiodo Fisso organizza “Find Your Way”, meeting di arrampicata sportiva nell’incantevole ambiente friulano delle valli Carniche e del comprensorio del Gemonese. Denso il programma con una “maratona” aperta a tutti su 7 selezionate falesie, una gara ad inviti in piazza, una serata con Manolo.

Alzi la mano chi di voi ha mai sentito parlare delle falesie di Gemona, Cavazzo, Somplago, Masso dell’Inceneritore, Villa Madrabau, Raveo, Verzegnis. E quanti ci sono stati? Pochi, eh? Vi do qualche indizio. Prendete la cartina dell’Italia e spostate il vostro sguardo in alto, ad est. Troverete una piccola regione incastonata fra le Alpi, proprio sul confine con Austria e Slovenia. Poi spostatevi sempre più ad est, nel suo estremo a settentrione. Stringete il focus…ed eccoci arrivati. Siamo fra Carnia e Gemonese, un remoto paradiso del Friuli Venezia Giulia, sconosciuto alle moltitudini e terreno di gioco per generazioni di arrampicatori che su queste rocce, lontane dalla calca, hanno disegnato linee mozzafiato, perfettamante attrezzate e calate nel contesto di una natura incontaminata. Ed è sullo sfondo di queste valli che nelle giornate del 5-6-7 ottobre si terrà “Find Your Way”, il primo meeting internazionale di arrampicata i cui protagonisti esclusivi saranno roccia, convivialità e gesto atletico.

Motore dell’evento l’Associazione Sportiva Dilettantistica “ChiodoFisso” di Tolmezzo che ha provveduto a selezionare per noi sette fra i siti più rappresentativi della zona, per un totale di 150 itinerari, con l’obiettivo di soddisfare i gusti degli appassionati di ogni livello, dal principante al climber più esigente. Tre giorni per farci scoprire un territorio tutto da esplorare, tre giorni per mettere alla prova abilità tecnica, dita, forza e resistenza.

Il regolamento è molto semplice: ad ogni partecipante verrà consegnato un plico informativo sulle caratteristiche delle falesie, alle quali si potrà accedere in totale autonomia e monitorati dagli organizzatori presenti nei siti. I tiri effettuati saranno registrati dagli stessi climbers, ma i commissari tecnici potranno assegnare ulteriori punteggi in base al tipo di percorso. Il ricco montepremi in palio, costituito da materiale tecnico per l’arrampicata ma anche da soggiorni in omaggio, verrà distribuito la domenica al termine della manifestazione mediante sorteggio ad estrazione. Saranno inoltre premiati i primi tre concorrenti che effettueranno il punteggio più elevato.

Contemporaneamente sabato 6 ottobre in Piazza del Ferro a Gemona i migliori atleti provenienti da Austria, Slovenia e Italia si sfideranno sui 17 m d’altezza di una struttura artificiale, la stessa che ha recentemente visto esibirsi i protagonisti dell’ultima prova di Coppa Italia Lead. Tanti i nomi invitati. Solo per citarne alcuni: Cristian Brenna, Riccardo Scarian, Mario Prinoth, Luca ‘Canon’ Zardini, Leonardo di Marino, Luigi Billoro, Christian Sordo, Attilio Munari. Fra i ‘local’ spiccano invece Daniele De Candido, i fratelli Polo, Paolo Degano e tanti altri ancora. Tracciatore d’eccezione Gino Pavoni.

Ricco il parterre dei protagonisti, ricco il campo d’azione, ricca la cerimonia d’apertura che vedrà Maurizio ‘Manolo’ Zanolla, alpinista e pioniere dell’arrampicata, inaugurare la festa con una serata speciale (venerdì 5 ottobre alle ore 20.30 c/o il Teatro Candoni a Tolmezzo) in cui ci racconterà la sua vita in parete.

Federico Addari, presidente di “ChiodoFisso” e motore dell’evento: “Find Your Way nasce dal desiderio di sviluppare le attività e i siti di interesse sportivo nel nostro territorio. L’obiettivo è quello di mettere per tre giorni al centro dell’attenzione luoghi magnifici, adatti a chi cerca spazi nuovi dove esprimere il piacere dell’arrampicata, lontano dalla confusione. L’auspicio è naturalmente quello di estendere, l’anno prossimo, il meeting ad una zona più ampia, per farvi scoprire insieme a noi altri bellissimi angoli della nostra Regione”. Buon lavoro allora e buon divertimento ad organizzatori e partecipanti!
Ci vediamo in Carnia.

Leila Meroi

Iscrizioni: venerdì mattina in Piazza Del Ferro a Gemona.
Preiscrizioni aperte sul sito www.chiodo-fisso.net
Per maggiori informazioni: [email protected]; Tel. 3270437010;
NB In caso di maltempo le sale indoor della regione saranno a totale disposizione dei partecipanti al meeting

PROGRAMMA:

VENERDI 5
– ore 7.00 inizio iscrizioni per chi in precedenza non ha effettuato la preiscrizione online e inizio distribuzione pacchi gara.
L’Appuntamento è fissato a Gemona del Friuli Piazza del Ferro nei pressi della struttura di arrampicata.
– ore 9.00 inizio meeting nelle diverse falesie. In ogni sito sarà presente un socio dell’associazione per fornire le informazioni necessarie.
– dalle ore 16.30 climbdrink a Tolmezzo presso bar del centro
– alle ore 20.30 a Tolmezzo si svolgerà una serata incentrata sul fantastico mondo del verticale, proiezione di filmati e incontro con “Il mago” “Manolo” Maurizio Zanolla.

SABATO 6
– Per l’intera giornata tutti i partecipanti potranno accedere alle falesie
– ore 13.30 a Gemona del Friuli, Piazza del Ferro, inizio delle fasi di qualifica della prima edizione della gara di arrampicata sportiva su struttura artificiale a corda che vedrà avvicendarsi i talenti provenienti da Austria Slovenia e Italia (competizione riservata ad atleti su invito).
– ore 17.00 a Gemona de Friuli fase finale della competizione su struttura a corda.
– A SEGUIRE Climbdrink in piazza.
– ore 20.00 a Gemona del Friuli in Piazza del Ferro premiazioni gara di arrampicata sportiva su struttura a corda.

DOMENICA 7
– ore 13.30 pasta party
– ore 15.00 termine meeting
– ore 15.45 premiazioni meeting e attribuzione del trofeo FIND YOUR WAY.

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Michael Lerjen-Demjen e Jorge Ackermann hanno fallito nel loro tentativo di aprire una nuova via in inverno sul Fitz Roy in Patagonia.

Poco prima che Stephan Siegrist, Thomas Senf e Ralf Weber riuscissero nella loro invernale al Cerro Stanhardt in Patagonia, il loro connazionale Michael Lerjen-Demjen e il giovane alpinista argentino Jorge Ackermann si trovavano pochi chilometri a nord del Fitz Roy impegnati, con condizioni difficili, nel tentativo di aprire una nuova via in inverno sul Fitz Roy.

Arrivati a El Chalten il 14 giugno, i due alpinisti hanno preso di mira una linea che avevano già iniziato l’estate scorsa a sinistra della via Ferrari ma che, dopo 8 tiri, erano stati costretti ad abbandonare. Motivati dalla sfida di arrampicare completamente da soli in inverno, il 26enne Lerjen-Demjen e il 25enne Ackermann hanno trasportato i 30 kg di materiale oltre il Passo Superiore fino alla base della parete per poi salire tiri di misto per raggiungere la parete principale. Dopo 14 ore di scalata hanno trascorso la prima notte nel loro portaledge, e il giorno successivo sono riusciti a salire soltanto 3 tiri di difficile artificiale fino all’ A3 che li hanno impegnati per 10 ore. Stessa storia il giorno successivo: altri 3 tiri in 14 ore per raggiungere la “Cengia della speranza” che, come suggerisce il nome, avrebbe dovuto portare verso terreno più facile. A questo punto però, dopo la segnalazione di Rolando Garibotti riguardo una fortissima tempesta in arrivo, i due hanno deciso di non rischiare oltre e sono scesi dopo aver salito complessivamente 10 tiri con difficoltà fino all’ A3, M4-5.

Lerjen-Demjen ha così commentato l’avventura: “Ci siamo calati lungo la via sui dadi, raggiunto il crepaccio terminale eravamo molto sollevati, il tempo era ancora OK ed eravamo sicuri che avremmo raggiunto il Passo Superiore! Ci siamo guardati indietro per l’ultima volta, entrambi con un sorriso sulle labbra. Non avevamo mai litigato, era stato fantastico, su questa parete, da soli, in inverno, avevamo dato tutto quello che potevamo dare, abbiamo apprezzato il limite totale della natura. Questa è stata la mia miglior esperienza in montagna, quello che stavo cercando, questo silenzio, lo stesso che altri alpinisti avevano vissuto 70 anni prima di noi! Ero felice e lo era anche Jorge, eravamo una squadra che, nonostante la mancata cima, si sentiva soddisfatta, più soddisfatta che su qualsiasi altra vetta. Avremmo potuto salire molte altre vie normali in questo periodo, ma abbiamo scelto l’avventura. Ed è certamente valsa la pena!”

Per la cronaca i due, che poco dopo hanno salito in 3 ore l’Aguja Guillaumet, sono intenzionati a tornare in Patagonia questo novembre per finire la via.

 

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New Budget Airlines

August 23, 2019 | News | No Comments

D.I.Y. Air

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This no-frills airline gets you where you want to go, so long as it’s in or around Belarus. You’ll also need to bring your own food, seat cushion, oxygen mask, and, for those flying in basic economy, flight crew. This crafty airline further cuts costs by occasionally allowing passengers to help out with basic tasks—like repairing the wing that will definitely come apart mid-flight.

Newark Air

An affordable option for those flying into New York City. The ticket price unfortunately does not include cab fare from Newark Airport into Manhattan, which will cost you more than the flight itself.

Dunkelhansa

This German airline is popular for its cheap flights to Europe and keeps its fares low by hiring philosophy grad students as flight attendants. Snack-and-beverage services have been replaced by conversations about nihilism. Your seat-pocket reading is just a mirror with which to face your own existential dread as you realize that air travel will never be both cheap and comfortable. (No Wi-Fi.)

Patreon Air

You pay what you can per month. In-flight entertainment is a newsletter that your friend writes semi-regularly and that you’re also paying a hundred dollars a month for.

Rx Air

Owned by a massive pharmaceutical company, Rx Air offers luxury amenities and nonstop flights for less than a hundred dollars. By purchasing a ticket, passengers have implicitly consented to participating in clinical drug trials. Rx Air is the only airline that has given canine flu to humans along with first-class seats at economy prices. Enjoy that extra legroom (if you can still feel your legs after all the injections)!

Three Kids in a Trenchcoat Airlines

A low-cost air service that’s part of the Southwest Airlines family. The flights are so cheap because all of the employees are just three kids stacked on top of each other in a trenchcoat. (You must pay extra for luggage.)

Amazon Prime Air

Same-day arrival guaranteed. There is no first class or even an economy class, because you’ll be riding in a cargo plane with Amazon Prime packages and also delivering the packages. Oh, and you’re an Amazon employee now. There is no food or water on board, but you will get to watch all episodes of “The Marvelous Mrs. Maisel” for free (only if you sign up for Amazon Prime).

Jet Zoo

This pet-friendly airline provides exceptional service to humans and wild animals. You’ll love the expansive seats and Noah’s Ark atmosphere. Check in early or your seatmate will be a hungry Siberian tiger.

Karaoke Air

You pay extra for food and drink, but all karaoke song requests are free. And, although the fuel-efficient aircraft gets you to your destination on time, your flight will feel twice as long when you hear “Don’t Stop Believin’ ” for the twentieth time in a row.

Fly Bieber

Justin Bieber hasn’t produced a single in a while, because he’s been too busy learning how to fly a plane. Flights are surprisingly entertaining, and you can see this airline lasting a very long time in the industry, despite what the haters say.

Oceanic

It’s the airplane from the TV show “Lost.” Flights seem to take forever, and it often feels like the pilots have no idea where they’re going. In the end, you’ll find out you were just in purgatory the entire time. But, on the plus side, easy-to-navigate Web site!

Air Bud

Ain’t no rule says a dog can’t fly a plane.

Partenza per il The North Face Kalymnos Climbing Festival con i big che prendono le misure della Project Competition. L’atmosfera è già quella giusta: arrampicata mediterranea, roccia (fantastica, sole, mare e gioia di esserci. Il report dai nostri “climber per caso” Nicoletta Costi e Nicola Noè.

È una giornata stupenda, sole, aria tersa, mare piatto come uno specchio, i colori di Kantouni distanti sotto di noi sono saturi di una luce che abbacina. La salita verso l’Olimpo dell’arrampicata è lunga, ma lassù ci attendono emozioni forti.

Alziamo lo sguardo verso l’alto. I top gialli delle ragazze e le t-shirt arancioni dei ragazzi punteggiano la parete a diverse altezze. Passato l’ultimo sperone di roccia grigia, lo spettacolo che ci si presenta è inconsueto quanto unico: gli atleti top stanno provando, salendo o flashando le vie riservate loro da Kalymnos Climbing Festival.

Come ragazzini dinanzi ad un giocattolo nuovo non sappiamo dove guardare, le linee sono meravigliose, gli atleti impressionanti nei gesti e nel tifo che si fanno a vicenda. Ci lasciamo travolgere dal gioco, assieme ad altri climber “umani” che hanno rinunciato ad una mezza giornata di arrampicata per assistere alla Project competition, questo originale evento- nell’evento.

Questo raduno infatti si svolge su una falesia nuova e tenuta segreta fino a ieri sera, chiodata tra gli altri da Jacopo Larcher e Simone Moro. La formula è accattivante e prevede quattro vie per le ragazze e quattro per gli uomini: gli atleti hanno 25’ minuti per lavorare la via e poi si effettuano tentativi liberi … ma se si cade si ritorna a terra e si lascia il posto al prossimo! Il montepremi in denaro messo in palio su ciascun progetto viene diviso tra i ripetitori di ciascuna via.

Le immagini si susseguono nei nostri occhi: Melissa Le Neve prova i movimenti con Anna Stoehr; Yuji Hirayama, Dani Andrada e Kilian Fischhuber, appena scesi dal tiro, incitano chi sta salendo, Iker Pou e Daila Ojeda si scambiano impressioni entusiaste sulla nuova falesia, mentre Gabriele riceve un meritato applauso per aver chiuso il “suo” tiro, e ancora non abbiamo esaurito la lista dei nomi celebri… L’atmosfera è rilassata, amichevole e scherzosa, eppure i gesti dell’arrampicata sono quelli da rivedere 1000 volte per poter anche solo pensare di imitarli.

E siamo solo al primo giorno, domani i top climber continueranno la loro fatica, per i climber “umani” inizia la maratona sui 350 per la categoria OPEN (fino al 7a) e 155 per la categoria BIG (dal 7a+ all’8a)!

di Nicoletta Costi e Nicola Noè

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La Prua di Valgua

August 23, 2019 | News | No Comments

Stefano Codazzi presenta la Prua di Valgua, la bella falesia di arrampicata sopra Bergamo con 23 tiri dal 4c al 7a.

Dalla passione e dalla determinazione di Stefano Codazzi a scovare nuovi terreni di arrampicata e grazie all’aiuto di tanti amici (R.Ferraris, F.Cornolti, S.Piantoni e tanti altri), ecco qua una nuova falesia per gli appassionati del verticale: la Prua di Valgua.

La parete, già esplorata in stile alpinistico negli anni 80, di ottimo calcare grigio e giallo si presenta da lontano come una grande prua che fuoriesce dal bosco, ma non lascia intendere la sua reale struttura, finche non si è alla base con il naso all’insù a guardarla : un grande pilastro di 50 m diviso a metà da un marcato e stupendo diedro, ed interrotto a destra da un grande camino.

La conformazione della roccia richiede uno stile di arrampicata diverso dalle altre pareti di Valgua, gli appigli sono spesso svasati, sfuggenti e disposti in modo bizzarro cosicché l’arrampicata a vista spesso risulta complicata , ma in compenso di grande soddisfazione.

La parete è composta da una prima fascia di roccia inclinata interrotta da una cengia oltre la quale si verticalizza per finire in strapiombo. E’ stato così possibile attrezzare nella prima fascia inclinata itinerari di 15m con difficoltà contenute (dal 4c al 5c) e protezioni ravvicinate (13 rinvii necessari), per poter consentire ai principianti e ai corsi di poter arrampicare in maniera sicura e tranquilla, proprio quello che mancava in Valgua! Dalle soste di questi tiri partono invece favolosi viaggi verticali per tutti i gusti fino a raggiungere i 40 m di sviluppo in totale (25 rinvii) e difficoltà in media intorno al 6b-6c.

In tutto si trovano 24 itinerari distinti che si possono concatenare a piacere, dato lo sviluppo della parete è necessario durante i concatenamenti avere una corda da 70 m alla destra del diedro e da 80m alla sinistra dello stesso. La falesia è nuova pertanto si raccomanda l’uso del casco a tutti!

L’attrezzatura della parete è stata possibile grazie al materiale acquistato con la colletta organizzata “per attrezzare Valgua” alla quale davvero tanti climber e amici hanno creduto dando il loro prezioso contributo e al materiale del progetto di richiodatura del 2004 in collaborazione con la Comunità Montana Valle Seriana.

La parete si raggiunge in 15 minuti dal parcheggio seguendo le indicazioni per lo Scoglio, poco prima del bivio per lo Scoglio un cartello indica di scendere a dx nel torrente ed una volta attraversato il torrente sul ponte in legno, si risale sx a prendere le corde fisse e seguendo il sentiero in breve si raggiunge la parete. L’esposizione a sud-est della parete permette di arrampicare in ombra in estate dalle 15.00. La roccia asciuga molto rapidamente.

Buone scalate e allenarsi!

Stefano Codazzi

FALESIA: Valgua

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