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La storia de L’arte del büciun di Chicco Fanchi e Pierangelo Marchetti, la prima guida di arrampicata sui sassi della Val Masino – Val di Mello che ha gettato le basi e rappresenta ancora adesso lo spirito dell’arrampicata sui massi della Valle.

A cercare l’inizio delle cose non si smette mai di imparare. E anche di stupirsi un po’. Così è anche per “L’arte del büciun”, la prima guida all’arrampicata sui sassi della Val Masino che ci riporta indietro di 26 anni. Giusto per testimoniare le radici di quello che tutti ora chiamano boulder, ma anche di quello spirito che forse ha fatto grande il Melloblocco. Perché sfogliando quella vecchia guida di Chicco Fanchi e Pierangelo Marchetti. Soffermandosi sulle splendide vignette di Daniele Pigoni. E poi rileggendo l’ispirata e preveggente introduzione di Giuseppe ‘Popi’ Miotti e i racconti di Chicco Fanchi. Non si può che rimanere affascinati da quanto, in quegli anni, la passione per l’arrampicata rapresentasse quasi uno stile di vita, e una scoperta, del tutto contro corrente.

Era uno spirito unito ad una speciale sensibilità per la roccia e per tutto ciò che la circonda che, come scrive Michele Comi, ha lasciato il segno. “Quando sul finire degli anni ’80 ci affacciammo affamati di roccia in Val di Mello” ricorda infatti Michele “la strada era già tracciata. Era del tutto spontaneo arrampicare sui blocchi. Tanto che le aree e i nomi dei passaggi erano impressi in modo naturale nelle nostre teste. Così l’atmosfera in cui siamo cresciuti e nella quale ci siamo identificati, senza processi di razionalizzazione, sono stati il nostro mondo e la sede della nostra sicurezza. Basti pensare alle vie sprotette della Val di Mello ma anche e alla relazione con l’ambiente e con il granito del Masino che sono diventati un passaggio fondamentale della nostra vita verticale. Di questo dobbiamo ringraziare Chicco e chi, prima di lui, ha indicato la via.”

L’ARTE DEL BÜCIUN di Enrico Fanchi
L’idea di una guida sui massi della valle è venuta nell’inverno ’83/’84 a Livigno dove lavoravo come skilifista, un po’ per guadagnare due soldi ma soprattutto per affinare la tecnica dello sci al fine di superare le preselezioni di Aspirante Guida.
Erano già due estati che abitavamo in Valle nella baita della scuola di arrampicata del Gigiat, e come istruttori arrampicavamo tutto il giorno con gli allievi, ma per poterci allenare, la sera si andava a fare due bocci (massi ndr) o provare dei tiri al Sasso (Remenno).
La vita di tutti noi (Roby Bianchini, Cucchi, io, Pozzoni e Kima) ruotava solo ed in funzione dell’arrampicata. Così che un inverno senza tirare tacche era molto lungo, e fantasticavo sui tiri che avrei fatto la primavera successiva, pianificando gli allenamenti da fare una volta tornato in Valle.
Gli allenamenti si facevano scalando sassi per rafforzare le dita, dunque durante l’inverno pensai di raccogliere in una guida tutti i massi che utilizzavamo. Ne parlai a Kima che era residente in Valle, accettò di descrivere gli accessi ai massi seguendo un ipotetico sentiero per raggiungerli.
In Aprile quando tornai finalmente in Valle cominciammo a fare tutte le foto dei massi, per poi ricalcarli su dei lucidi che venivano consegnati alla tipografia. La stampa ci costò, ricordo, due milioni di lire che furono quasi interamente pagati con gli spazi pubblicitari (per il tempo erano sponsor coraggiosi).
A Pigoni chiesi di disegnare delle vignette e così la quarta di copertina era fatta, a dire il vero non ero riuscito a venderla. Popi gentilmente ci fece l’introduzione. Inserii una delle prime, se non la prima, tabella comparativa internazionale dei gradi che era in circolazione e anche due racconti di fantasia sul mondo dell’arrampicata.
Alla fine di maggio era pronta, potevamo venderla… poi il 16 giugno 1984 ero al Sasso, stavo scendendo dalla ovest slegato ma ad un tratto, appena sotto il bordo, BAM, fischio giù fino a terra per 35 metri di volo. Tutto fermo fino a metà Luglio, quando iniziammo a distribuirla. Kima guidava la 128 gialla ed io a fianco ingessato, andavamo nelle librerie della Valtellina a cercare di piazzarla come conto vendita.
Riuscimmo a venderne circa duecento così da pagare il residuo della tipografia e farci il materiale per una stagione. Il titolo della guida è stato ripreso da un filmino che il Roby e il Cucchi avevano girato riproponendo in versione ironica alcune situazioni di arrampicata, una vera chicca.
Enrico ‘Chicco’ Fanchi
Enrico ‘Chicco’ Fanchi – guida alpina e arrampicatore di lungo corso – blocchista della prima ora, apritore e chiodatore prolifico del Masino ma non solo. Viaggia ancora con disinvoltura oltre l’8a.
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Pierangelo ‘Kima’ Marchetti, guida alpina, fin da giovanissimo frequentatore dei massi della Val Masino e appassionato di ogni forma di arrampicata. L’8 luglio 1994 è scomparso in seguito ad un tragico incidente durante un’operazione di elisoccorso. Ha lasciato un vuoto incolmabile, tanto che i suoi amici gli hanno dedicato il Trofeo Kima, una delle più famose gare di corsa in montagna.

Daniele Pigoni, ex top climber che si è dedicato anima e corpo all’arrampicata. Grande frequentatore della Val Masino dove apre alcune vie di elevata difficoltà. Ora è un artista affermato (www.danielepigoni.it)

Giuseppe ‘Popi’ Miotti. Tra i primi frequentatori sistematici dei massi della Val Masino può essere considerato il padre del Bouldering in Valtellina. ?Storica fu la salita di Goldrake nel 1975 6b+ e del Nipote di Goldreke 7b nel 1981, è anche autore della ripetuta e bellissima Uomini e Topi alle Placche dell’Oasi nel 1977.? Guida alpina e laureato in agraria, è uno dei più accreditati storici dell’alpinismo delle Alpi centrali.

>> Aspettando il Melloblocco # 1 – Cieli ramati di Monolith di Popi Miotti

Il 24/08 Maurizio Manolo Zanolla ha liberato “Eternit” la via nata dalla prosecuzione di “O ce l’hai… o ne hai bisogno” nella falesia del Baule. Il grado proposto è 9a ma soprattutto per Manolo questa è una via che apre l’arrampicata su placca verticale ad un’altra dimensione

19 anni fa pensava che sarebbe stato impossibile continuare. “O ce l’hai… o ne hai bisogno”, 8b/8b+ nella bellissima falesia d’elite del Baule (Vette Feltrine). Così la via s’era fermata prima di quell’ultimo muro inaccessibile. E l’incredibile specchio verticale era rimasto lì, vergine. Andare oltre sembrava davvero troppo, anche per Manolo, alias Maurizio Zanolla.
Ma per la serie “il Mago perde il pelo ma non il vizio” lo scorso 24 agosto è arrivata la soluzione anche di quest’enigma. Appunto, 19 anni dopo, Manolo ha trovato la soluzione prolungando il viaggio di “O ce l’hai… o ne hai bisogno” fino alla suo naturale top sul bordo della falesia.

E’ nata così Eternit che Manolo definisce: “Una via incredibile. Completamente naturale (a parte una presa consolidata). Ma soprattutto assolutamente verticale (non strapiomba nemmeno mezzo metro). Eternit, spiega il Mago, offre “un assortimento di microliste orizzontali verticali svase e rovesce. Con dei passi decisamente aleatori ma paradossalmente nemmeno tanto difficile da decifrare perchè è così liscia che gli appoggi e gli appigli risaltano immediatamente… il problema è tenerli!”.
Per quanto riguarda il grado, Manolo non ha dubbi: “Eternit è decisamente più impegnativa di tutte le altre vie di questo genere che ho salito, da Bain de sang a Thin ice, Da Appigli ridicoli a Bimba luna. Su questo muro completamente verticale non serve una grande resistenza ma da metà in poi gli avanbracci si riempiono pericolosamente e su alcuni singoli le dita bisogna davvero averle molto toniche. Inoltre, non basta la forza e, se non si usano almeno decentemente i piedi… è davvero difficile alzare le ginocchia da quelle parti…”.

Ora ci sembrerebbe di ripeterci nel ricordare le 51 primavere di Manolo. Invece, ci sembra più giusto sottolineare come su Eternit, per sua stessa ammissione, Manolo abbia avuto la nettessima sensazione di aver esplorato un’altra dimensione della scalata su placca verticale. E se lo dice lui la cosa si fa davvero interessante, anzi di più!
Eternit per Manolo è un caposaldo della sua esperienza di climber, e non c’è dubbio che si propone come un assoluto top per l’arte di salire in placca. A proposito, il grado proposto è 9a… e, soprattutto, le emozioni che può regalare questa via sono enormi. Basta leggere come Manolo descrive questi 11 minuti 38 secondi e 60 movimenti della sua vita…

ETERNIT 11 MINUTI 38 SECONDI E 60 MOVIMENTI DELLA MIA VITA
by Manolo

Eternit… innanzi tutto… perchè non tutto quello che arriva dalla Svizzera fa bene…e poi perché questa via fa male, fa male alle dita, alla testa, ai piedi. Ha una verticalità leggera, invitante ma può diventare velenosa in qualsiasi momento. Tutto quello che ormai sembra facile, può ritornare improvvisamente paralizzante e quel punto fermo, tanto faticosamente guadagnato, nel caos ritorna, sfuggente, assolutamente inutile e devi ricominciare da capo.

E’ stato tortuoso e difficile il percorso per arrivare in cima, si sono alternati infortuni frustranti a momenti di forma e stati d’animo diversi, a volte così intensi da creare o smontare qualsiasi motivazione. Improvvisamente però sembrava non ci fosse più tempo (e forse è vero) e allora tutto diventava lungo, troppo. La lentezza estenuante ormai indispensabile per i recuperi non mi permetteva nient’altro e l’estate mi stava sorpassando come una locomotiva ed io, ormai, potevo solo guardarla passare.

Quando ho preso il bordo della falesia gridando, l’ho quasi odiata ma in fondo solo per un attimo.
Non era iniziato male l’anno e i primi risultati alimentavano fantastici progetti ma la vita è sorprendente e alle volte il guardare troppo avanti ti ruba il presente, e ti costringe rifugio nel passato, anche se questa è già una fortuna.

Quando nel 1990 chiodai “O ce l’hai… o ne hai bisogno” quel tratto finale mi sembrava impossibile e così posizionai la sosta fin dove quel muro mi sembrava scalabile. Solo dopo aver (riliberato) Appigli ridicoli, guardai quel tratto “incompiuto” con più attenzione, affascinato da quella compattezza che sembrava inaccessibile. Solo una tacca emergeva desolata da quello specchio ma sembrava impossibile da raggiungere e ancora di più abbandonarla. Frugando meglio fra quelle serie di rughe disordinate affiorò lentamente una traccia, ma anche altre cose nella vita e quel tratto per un po’ rimase sospeso.

Oggi al parcheggio l’aria è frizzante e al passo una folata d’aria fresca e secca m’investe come un secchio d’acqua. Il violento temporale dell’altro ieri ha ripulito la terribile calura e l’aria sottile da nord promette aderenza. Sono contento e la respiro con tutto il mio essere ma improvvisamente divento nervoso, quelle condizioni quasi ottimali investono di responsabilità.

Nemmeno il tiro di riscaldamento, che non è mai eguale, anche se è sempre lo stesso, allevia questo strano stato d’animo. Il peso di quei sessanta movimenti sembra opprimermi insieme a una leggerissima voglia di essere da un’altra parte.

C’è una quiete grandiosa quassù, l’aria tersa sembra permettere di vedere ovunque, addirittura dentro e aldilà delle montagne. Tutto diventa meno importante, devo solo scalare, e la consapevolezza che non sarà sufficiente ora, diventa più leggera.

Il traverso è cattivo, pungente, questo tratto è intenso e ruba energia, anche mentale ma sono preciso, lancio, non ho esitazioni e all’ultimo riposo arrivo meglio del solito. Ancora quindici movimenti da qui al cielo… ma hanno una pesantezza disarmante. Aspetto che il cuore rallenti prima di comprimermi sotto quel rovescio sfuggente.

Cerco automaticamente la ruga che non so mai come prendere e, in qualsiasi modo, è sempre un incubo. Striscio al verticale e, mentre la gomma comincia a scivolare, mi allungo verso l’unica tacca decente. Vorrei affondare le dita in quella tacca ma non posso, devo alzare il piede, andare via da qui immediatamente, prima che tutto finisca. Sto per paralizzarmi un’altra volta… ma mi fido di quei millimetri di calcare liscio, appena in tempo.

Passo la corda, mi allargo sul niente e tutto sembra nuovamente ribaltarsi. Non ne posso più, voglio scivolare e togliermi quel dolore dalle braccia, dalla testa. Delego tutta la responsabilità ai piedi, alle scarpe, alla gomma, io non ne voglio più sapere, non c’entro più niente, che scivoli pure. Ma ho ancora un attimo di rabbia, li carico spingendoli via, lontano e mi lancio sul bordo di quegli 11 minuti 38” secondi e 60 movimenti della mia vita. Esattamente 19 anni dopo aver pensato che era impossibile.

Ringrazio tutti gli amici che in qualche modo mi sono stati vicini dal prof. Stefani al prof. Grappiolo con la sua lapidaria diagnosi, ma anche Marco Morelli che crede ancora nell’impossibile, Montura , La Sportiva e Grivel che continuano ad aiutarmi ma soprattutto Cristina che questa volta si è davvero superata.

ETERNIT
falesia Baule (Vette feltrine, Dolomiti bellunesi)
prima libera: Manolo 24/08/2009
lunghezza: 27m
difficoltà proposta: 9a ??
quota: 1900m sl

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Sometime in 2002, the photographer Michael Jang went to the San Francisco Museum of Modern Art and dropped off some of his old pictures that he had recently rediscovered. At the time, the museum’s photography department had an open-submission policy; the curators would consider work that anyone brought in. Though Jang had worked locally as a successful professional photographer, he had all but forgotten about the work he had done in the seventies, when he was an art student who snuck into lavish parties, went to punk shows, and wandered the streets. The museum soon called him back, adding some of his work to its permanent collection and later exhibiting it as part of a show about California. Jang’s images were mischievous and quirky, full of visual jokes about how the rich and famous and the freaks and burnouts weren’t all that different from one another. In the years since, Jang has spent more time digging through his archives. The result is a stunning monograph, “Who Is Michael Jang?” (A related exhibition, “Michael Jang’s California” will be on exhibit at the McEvoy Foundation for the Arts, in San Francisco, from September 27th to January 18, 2020.)

Jang was born in 1951 and grew up in Marysville, in what was once Northern California’s Gold Rush country. In the sixties, as a high-school student, he would travel around Northern California projecting psychedelic light shows. In 1971, he enrolled at CalArts, in Los Angeles, in order to study design. But a random photography course introduced him to the work of Lee Friedlander and Garry Winogrand, who were interested in capturing the textures of everyday life.

The serendipity of Jang’s SFMOMA rediscovery seems fitting, given his playful, offbeat approach to taking pictures. For a school project, he spent months hanging out at the Beverly Hilton, a hotel famous for opulent parties and a steady stream of celebrities. Jang wore a tuxedo, made fake press credentials, and sneaked into as many parties as he could. In the “Beverly Hilton” series, he crosses paths with David Bowie, Ronald Reagan, Frank Sinatra, and Jimmy Stewart. Carl Reiner mugs for the paparazzi, pretending to eat Bea Arthur’s face. But it’s the partygoers, garishly prim and meticulously put together, who are the stars. An older woman in a fur collar steps out of a Rolls Royce, her hair an intricate maze of wavy bangs and knotted braids. She is at once dainty and superhuman. Another woman wears an elaborate hat, her dress a cascade of frills and lace. She looks as though she stepped out of an Art Nouveau painting, save for her annoyed smirk.

In the late seventies, Jang moved to San Francisco, where he would often wander the city, taking in its scenes and subcultures. His photos document a forgotten city, often capturing fleeting moments of emotional friction: two men implausibly nodding off amid the raucousness of Hooker’s Ball, a famed annual party organized for sex workers’ rights; Robin Williams, tranquilly lost in a friend’s hug, while others watch and snap pictures; a diligent photographer in the front row of a Ramones concert, trying to get a decent shot while everyone around her goes bananas. Jang’s photos revel in the unpredictable rhythms of public life, so long as you pay attention. At the funeral service for George Moscone, the San Francisco mayor who was assassinated, along with Harvey Milk, by a disgruntled political foe, Jang took in the eclecticism of the crowd that had come to pay respects. A man bulging in his striped suit stands alongside two little girls in tweed, their clashing patterns and generational gap subsumed by the scene’s melancholy.

My favorite series from “Who is Michael Jang?” is titled “The Jangs.” It’s essentially a photo album of his Chinese-American family in the seventies—subject matter that I’ve never experienced in art. So many of Jang’s more famous photos of celebrities and their admirers resulted from spontaneity and luck. “The Jangs” features portraits of his relatives at home—showing off their cherished possessions, like a wall of Baltimore Colts posters, goofing around with skis and wigs, enjoying a cigarette after dinner. His uncle gaily demonstrates his golf swing. All the kids sit on the couch, hiding behind issues of Mad magazine and comic books. There’s effervescence in these pictures, a kind of casual hope. All his aunts and uncles are wearing sunglasses, laughing at a joke we will never know. They’re untroubled, practicing the poses of being an American family.

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Frana su El Capitan a Yosemite

August 25, 2019 | News | No Comments

Tom Evans segnala un’enorme frana su El Capitan, Yosemite, USA

Ieri a Yosemite, con la stagione autunnale delle big wall in pieno svolgimento, è stato miracolosamente evitato un disastro. Fortunatamente nessun climber è stato coinvolte nell’enorme caduta di massi che ha interessato la Waterfall Route sull’estrema destra di El Capitan.
Click Here: habitat tord boontje“Una piccola frana ha preceduto di un paio di minuti “la grande frana” – ha raccontato Tom Evans che è stato testimone dell’accaduto – “Abbiamo urlato e fischiato per avvertire i team in parete. Un paio di minuti più tardi con un suono acuto seguito da un boato fragoroso s’è staccata “quella grande”. La parete è stata subito oscurata da una nube di polvere. Dopo poco tempo sono arrivate le autorità per verificare quanto era successo e se qualcuno fosse stato coinvolto. Fortunatamente, da quanto abbiamo potuto capire, nessuno si trovava sulla linea della caduta dei massi. C’era un team che stava salendo “Bad to the Bone” e un altro su “Bad Seed and Regan is on Surgeon General”, che sono distanti della caduta. Chiunque si trovasse alla base della East Buttress sarebbe stato polverizzato… quindi il consiglio più saggio è… STATE LONTANI DA QUESTA ZONA, perché ci sono enormi blocchi instabili, pronti a distaccarsi al semplice tocco di una piuma.”
Per il report completo della frana, e per sapere di più sulle code sulla Salathe e per sentire come stanno progredendo Tommy Caldwell e Kevin Jorgeson sul loro Mescalito project, visitate www.elcapreport.com

In 2 giorni, il 28/06 e il 2/08/2010, Riccardo “Sky” Scarian con Paolo Loss ha aperto “Per Ricky” (250m, max 7c), una nuova via sulla parete Ovest della Cima della Madonna (Pale di San Martino, Dolomiti). Il 9/08 sempre Riccardo Scarian (insieme a Michele Gaio) ha realizzato anche la prima rotpunkt di questa impegnativa via che corre sulla grande parete proprio sopra ilo Rifugio Velo della Madonna. Il report della salita e la scheda della via direttamente da Riccardo Scarian.

Era da qualche anno che tornando dal lavoro, scendendo dal Passo Rolle, appena sotto San Martino, l’occhio mi cadeva sempre in un’unica direzione…Cima Madonna, parete ovest! Ogni volta vedevo una linea immaginaria che correva su quel muro giallo e nero. Sapevo che sul nero c’era già una via aperta in artificiale nel ’66 e sul giallo un’altra aperta più recentemente nel medesimo stile, il che mi rallegrava perché era sinonimo di ripido! La mia linea sarebbe corsa esattamente tra l’ocra e il nero. Proposi all’oramai inseparabile amico Paul la mia idea, che accolse subito con entusiasmo.

Decidemmo quindi di salire a dare un occhio, senza alcuna velleità, un’occasione per andare a trovare Anna, la nuova gestrice del Rifugio Velo, portare su un po’ di materiale e magari iniziare, giusto per segnare il territorio in maniera felina… Dopo i duecento metri di zoccolo iniziale, via Spigolo del Velo, eccoci sotto la parete, un’accurata ispezione per vedere dove sia meglio iniziare la nuova via… e poi si parte! Lo stile di apertura prevede libera, protezioni veloci il più possibile…e soste sicure!

Mi avvio e dopo qualche metro sono sul ghiaione… nuovamente con Paul, e con un appiglio ancora in mano… fortunatamente niente di grave. Riparto e dopo qualche metro mi rendo conto che la roccia non ne vuol sapere di trad e sono costretto a proteggermi con uno spit, mi posiziono sui cliff e dopo 7-8 minuti finisco il foro col mio pianta spit a mano, ma ahimè ho sbagliato punta e lo spit non entra…! Tra un imprecazione e l’altra riesco a ridiscendere da Paul…ci guardiamo e ridiamo, un unico pensiero corre in noi a quel punto…BIRRA!

Dopo qualche giorno siamo nuovamente sotto la parete, oggi vogliamo salire in alto. Dopo due ore, riesco a finire la prima lunghezza, Paul mi raggiunge e parto subito per la seconda, che fila via in un baleno…su una roccia fantastica! Paul è a pochi metri dal raggiungermi e nel giro di pochi minuti veniamo avvolti da un nero inquietante, ancora pochi attimi ed inizia il diluvio…giù le doppie e ci ritroviamo alla base fradici battendo i denti! Ora il pensiero è Rifugio!

Per vari impegni ci fermiamo per una settimana, ma il 2 agosto siamo nuovamente sotto la via, in poco tempo raggiungiamo il punto della volta precedente. Il terzo tiro è per Paul, in breve lo raggiungo e parto per il quarto. Nel tiro finale, un pilastro strabiombante giallo, con i primi metri non proprio “verdoniani” devo ricorrere nuovamente agli spit, alla fine saranno due…ed i restanti cinquanta metri di ottima qualità saranno tutti da proteggere… una meraviglia!

Ancora cinquanta metri facili e siamo in vetta, ci sediamo al sole e ci facciamo un “paglia”… siamo felici di aver lasciato il nostro segno su questa montagna piena di storia, accanto allo Spigolo più famoso ed elegante delle Dolomiti. Questa via l’abbiamo dedicata ad un Amico!

Il 9 agosto compio la prima “rotpunkt” assieme all’amico Michele Gaio, mentre Paul è già in Canada…!

Un ringraziamento speciale ad Anna, Veronica, Rolando e Pietro.

Riccardo Sky Scarian

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>>> Vai alla scheda della via <<<

Il Tor des Geants 2011 è stato vinto da Jules Henry Gabioud (79h58m) e Anne Marie Gross (91h28m). La gara è attualmente ancora in corsa e lungo il percorso avanzano ancora 323 trailers, che dovranno raggiungere il traguardo entro le 16.00 di sabato 17 settembre.

“Grandi sorprese, ribaltamenti di classifica, ritiri improvvisi di atleti di alto livello: anche questo è il bello del Tor des Géants – così il direttore di gara Alessandra Nicoletti ha aperto questa mattina la conferenza stampa – Certo, non immaginavamo un’edizione così avvincente, piena di colpi di scena, come la difficile ma doverosa decisione di squalificare un concorrente”. Si tratta della squalifica  del ticinese Marco Gazzola, che ieri ha raggiunto per primo il traguardo percorrendo nell’ultimissimo tratto un tracciato che non era quello di gara. “Abbiamo applicato rigorosamente il regolamento – continua Alessandra Nicoletti – E siamo felici perché alla fine a vincere su tutto è stata l’etica del trail, la correttezza sportiva. Il miglior risultato che potevamo ottenere”.
 
“Un’edizione con un alto livello atletico ma soprattutto umano”  ha proprio tenuto a ribadire Aurelio Marguerettaz, Assessore al turismo, sport, commercio e trasporti Regione Autonoma Valle d’Aosta. “Sono messaggi straordinari, di rispetto dell’altro, che ci arrivano dal mondo della montagna, dove l’agonismo non è tutto. I concorrenti sono arrivati con una grande voglia di affrontare i sacrifici e di godere, nonostante la fatica incredibile, dei paesaggi straordinari della nostra regione. In questo il tempo bellissimo ci ha aiutato, permettendoci di presentare al meglio il territorio della Valle d’Aosta”.
 
E infatti, dopo l’abbraccio di Gazzola all’arrivo di Gabioud, non verrà dimenticato l’altro episodio di solidarietà che ha visto protagonista il terzo classificato, Pablo Criado Toca, che si è spogliato di giacca e pantaloni per vestire Stephane Couleaud, il concorrente francese giunto terzo al rifugio Bonatti, a soli 11,9 km dal traguardo. “E’ stato un gesto naturale – ha detto l’atleta spagnolo, che inseguiva a un’ora e 25 minuti di distacco il francese – Couleuad stava male e aveva freddo, l’ho soccorso e accompagnato fino al rifugio Bonatti”.

Il francese, atteso come terzo classificato, non c’è l’ha fatta ad ultimare quello che, anche la leggenda vivente del trail, Christophe Le Saux, ha definito l’endurance trail più duro al mondo. Arrivato secondo, Le Saux ha commentato: “Il Tor des Géants non è il trail più lungo, ma è sicuramente il più duro, per le salite e soprattutto per le discese che bisogna affrontare. Confermo ciò che ha detto Ulrich Gross”. L’altoatesino vincitore dell’edizione 2010, costretto al ritiro a poche ore dalla partenza, stamattina guardava orgoglioso la sorella Anne Marie Gross, arrivata anche quest’anno quarta assoluta e prima fra le donne: “Sono felice di aver vinto per la seconda volta questa straordinaria gara, un’avventura ricca di emozioni. Un ringraziamento particolare va a tutte le persone che mi hanno aiutata e incoraggiata lungo il percorso”. Ha  battuto il record del fratello, arrivando 29 minuti prima , il vincitore dell’edizione 2011, il giovanissimo svizzero Jules Henry Gabioud: ” E’ stata una gara molto dura, con momenti bellissimi. Il più emozionante è sicuramente legato al passaggio da Col Malatra, a 2 km da casa mia”. Seduto accanto a lui, il connazionale Marco Gazzola: “Nonostante tutto un’esperienza indimenticabile: non importa la squalifica, che ho trovato giusta. E’ stato un mio errore, causato dalla stanchezza, da tutte le ore di cammino e dalla mancanza di sonno”.

Intanto continuano gli arrivi in una Courmayeur vestita a festa. Dopo Anne Marie Gross, sono arrivati nelle prime ore del mattino anche Eric Arveux e il primo uomo italiano, il valdostano Giancarlo Annovazzi. L’ispettore forestale arrivato sesto dopo 93 ore e 57 minuti ha anche stabilito il nuovo record valdostano della corsa. Tra Gressoney e Courmayeur ancora 323 trailers che dovranno raggiungere il traguardo entro le 16.00 di sabato 17 settembre.

Classifica
1 Gabioud Jules Henri 79:58:26
2 Le Saux Christophe 84:09:46
3 Criado Toca Pablo 89:43:07
4 Gross Annemarie 91:28:21
5 Arveux Eric 92:55:46
6 Annovazzi Giancarlo 93:57:40
7 Tissot Laurent 96:28:04
8 Grange Giuseppe 96:58:05
9 Saroglia Mauro 96:58:06
10 Rosello Sole Eugeni 98:17:39

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Il 01/05/2011 Joshua Lavigne e Raphael Slawinski hanno effettuato la prima salita di Tsunami (300 m, M5 WI5+) sul Mt Patterson nelle Rocky Mountains in Canada

A meno di un mese dalla prima salita di The Peach a Storm Creek, Raphael Slawinski continua a fare quello che gli riesce meglio: aprire nuove vie nelle Rockies Canadesi. Il 1° maggio il professore di fisica si è recato a Mt Patterson sopra la famosa Icefields Parkway insieme alla guida alpina canadese Joshua Lavigne. I due hanno aperto Tsunami, una linea di 300 metri a destra della famosa via Riptide. Slawinski aveva scoperto la linea di recente, mentre ripeteva la classica via di misto Rocket Man. La cordata è salita per 6 tiri con difficoltà fino a M5 WI5+. Una volta raggiunto l’altopiano i due canadesi sono scesi in doppia lungo la via.

Lavigne ha descritto Tsunami come segue: "A prima vista sembra essere minacciata da seracchi, ma da vicino invece questi sembrano abbastanza benigni. Abbiamo salito la via in 6 tiri complessivi, per raggiungere il ghiaccio abbiamo salito 3 tiri di terreno molto alpino, con ghiaccio sottile e mistofragile. Raggiunto il ghiaccio, tre tiri ci hanno poi portato in cima ai seracchi. Una giornata meravigliosa in un ambiente ideale per una classica via di ghiaccio!"

Tsunami Mt Patterson prima salita di Raphael Slawinski e Joshua Lavigne

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Iker Pou, vie nuove tra Margalef e Ilarduia

August 25, 2019 | News | No Comments

Nella falesia spagnola di Margalef Iker Pou ha liberato Enemigo Público Nº1 8c+/9a) mentre in quella di Ilarduia ha liberato Harroputza 9a.

Iker Pou continua ad aprire nuove vie a tutto spiano. Dopo Nit de Bruixes, il basco ha liberato Enemigo Público Nº1 (8c+/9a), una via “praticamente senza appoggi” che, secondo Iker, è “una della più belle ed esplosive vie di Margalef”. Inoltre, sempre sul conglomerato di Margalef lo spagnolo ha anche liberato Fil per randa (8b+), El Tango del Jabalí (8b+), Cocainea Pura y Dura (8c) e Para el Este (8c).

Approfittando della sua grande forma, nella falesia vicina a casa sua, cioè quella di Ilarduia, Iker ha anche liberato Los Puntos Sobre las X (8c/c+) e Harroputza; quest’ultima descritta come “una delle vie che in assoluto mi ha stimolato di più”. 42 metri di 9a per una serie perfetta di tacche, ossia “un autentico gioiello per chi è in cerca di un tesoro.”


INTERVISTA IKER POU febbraio 2010

Iker Pou – Vitoria 05/02/1977
1994: El sentido de la vida, primo 8a a-vista
1994: Gora begira ez dago nekerik, primo 8b+ rotpunkt
1996: Mala vida, primo 8c rotpunkt
1998: Guenga, primo 8c+ rotpunkt
2000: Action Direct 9a, Frankenjura, Germania. 3° salita
2001: Wallstreet 8c Frankenjura, Germania
2001: Elfe 8c+/9a, Grimselpass, Svizzera
2002: Silbergeier 8b+/200m, Rätikon, Svizzera, 5° salita
2002: prima libera El Pilar del Cantabrico 8a+/500m, Naranjo de Bulnes, Spain
2003: El Niño 8b/850m, Yosemite, El Capitan, USA. 3° salita.
2003: Baing the sang 8c+/9a, Svizzera
2003: Mendeku 9a, Basque country, Spagna
2004: prima libera Bravo Les Filles 8b/600m Tsaranoro- Madagascar
2004: The Nose 8b+/1100m, Yosemite, El Capitan, USA. 32 di 34 tiri in libera
2005: Eternal Flame 8a/1100m, Trango Tower Himalaya, con il “Pou Brothers Variantion” 8a a 6000m
2006: Franco-Argentine route 6c+/1300m, Fitz Roy, Patagonia. 5 tentativi, ritirato 40m dalla cima.
2006: Quinto Imperio, Naranjo de Bulnes, Spagna
2007: Supercanaleta 6c-M6-90º/2000m, Fitz Roy, Patagonia
2007: Blaue Lagune 7b+/250m, Legacy 7b+/320m, Batman 7b+/250m, Cleoplatra 7c/270m, Wendenstock, Svizzera. Tutti a-vista
2007: Begi Puntuan 9a, paesi Baschi, Spagna
2007: prima salita Lurgorri 8c+/250m, Naranjo de Bulnes, Spagna
2008: prima salita Azken Paradizua 7a-M6-90º/600m. Zerua Peak, Antartica.
2009: prima salita Marcados por el Chañi 85/M6/600m, Chañi Chico, Argentina
2009: prima salita Orbayu 8c+/9a(500m). Naranjo de Bulnes. Spagna.
2009: Maritxu kilkerra, primo 8b+ a-vista
2010: Demencia Senil 9a+, Margalef, Spain
2010: Solo per vecchi guerrieri, 8c/9a Dolomiti
2010: Pan Aroma sulla Cima Ovest di Lavaredo, Dolomiti
2011: La Classica Moderna, nuova via sul Monte Bianco per Barmasse e fratelli Pou
2012: prima salita Nit de bruixes 9a+ a Margalef

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Century Crack, il video

August 25, 2019 | News | No Comments

Il video di Pete Whittaker e Tom Randall su Century Crack 8c nei Canyonlands, USA.

Ci rendiamo conto che ne abbiamo già parlato non poco, ma siccome è la offwidth più difficile al mondo, forse vale la pena anche guardare il trailer del film appena uscito. Ecco che si capisce sia la dimensione della fessura, sia le tecniche usate da Tom Randall e Pete Whittaker. Non il solito 8c di piccole tacche…
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